Gli avvocati prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, hanno assistito con successo un’importante impresa calabrese operante nel settore della depurazione.
Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., Legge n. 92/2012 (“Legge Fornero”) una consulente della società aveva chiesto che fosse accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti con decorrenza dalla stipulazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa avente ad oggetto la fornitura servizi informatici con svolgimento di mansioni di impiegata full time e che venisse dichiarata la nullità del licenziamento intimatole dalla società.
La società ha contestato la ricostruzione della lavoratrice ritenendo non provata la natura subordinata del rapporto tra le parti.
Per il Tribunale di Palmi – in linea con una consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità – “l’elemento centrale del rapporto di lavoro subordinato, desumibile dall’art. 2094 c.c., è la collaborazione nell’impresa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro”. Per il giudice “la collaborazione, elemento, peraltro, comune anche ad altre tipologie contrattuali, è sussumibile nella partecipazione del lavoratore all’attività del datore di lavoro e si concretizza nell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva del datore. Il fulcro della subordinazione consiste, invece, nella soggezione del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore che deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici oltre che nell’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative”.
La subordinazione intesa come eterodeterminazione spaziale e temporale della prestazione lavorativa non è, nella pratica, sempre agevolmente individuabile. Ecco perché la giurisprudenza ricorre ad una serie di indici sussidiari, rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro quali la vincolatività dell’orario, l’esclusività del rapporto, la retribuzione fissa a tempo, l’assenza di rischio in capo al lavoratore, l’inerenza della prestazione al ciclo produttivo del datore (ex plurimis Cass. n. 849/2004, Cass. n. 2970/2001 e Cass. n. 224/2001). Tali indici, tuttavia, hanno natura sussidiaria perché assolvono una funzione di natura complementare e secondaria, meramente indiziaria rispetto all’unico elemento probante la subordinazione, rappresentato dalla dimostrazione della permanente disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento gerarchico al potere di direzione e controllo di quest’ultimo (Cass. n. 3745/1995, nonché Cass. n. 326/1996).
Nel caso affrontato, il Tribunale di Palmi ha fatto rigorosa applicazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale “grava sull’attore la prova dei fatti costitutivi della pretesa i quali, per non essere stati implicitamente o esplicitamente ammessi dalla controparte, devono ritenersi contestati, e che consistono principalmente nella sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata, nel periodo e con l’orario di lavoro indicato, nonché nello svolgimento di mansioni corrispondenti al livello di inquadramento richiesto, e nell’applicabilità in via diretta del Ccnl indicato, ai fini del diritto agli istituti retributivi non aventi un fondamento legale”.
Secondo il giudice “ove all’esito della prova permangano dubbi circa l’inquadramento giuridico del rapporto stesso, deve necessariamente concludersi per il rigetto del ricorso, non essendo stato assolto l’onere della prova gravante sulla parte attrice”. Infatti, qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l’onere della prova a carico dell’attore non sia stato assolto e non già propendere per la natura subordinata del rapporto (cfr., in tal senso, Cass., sez. lav., 28/09/2006, n. 21028).
Sulla scorta degli elementi raccolti il giudice ha ritenuto che “il quadro istruttorio così delineato non rechi suffragio alla tesi di parte attrice”. Le testimonianze rese, infatti, non hanno consentito di ritenere provata con certezza la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e la società resistente.
Per il Tribunale “la pretesa azionata in giudizio sarebbe fondata su di una piattaforma probatoria estremamente labile e sommaria, caratterizzata da dichiarazioni, per un verso, estremamente generiche e, per altro verso, neutre rispetto ai requisiti fondanti la subordinazione”.
Stante l’estrema lacunosità della prova, deve pertanto farsi ricorso al criterio di cui all’art. 2697 c.c., con la conseguenza che non può ritenersi raggiunta la prova in ordine al fatto costitutivo del diritto vantato dall’attore, segnatamente costituito dalla sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro di natura subordinata, da cui la consequenziale insussistenza di un illegittimo licenziamento.
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