Socio di cooperativa o lavoratore subordinato?

Socio di cooperativa o lavoratore subordinato?

Gli avv.ti prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, hanno assistito con successo in grado di appello due società operanti nel settore della commercializzazione di prodotti ittici.

Queste ultime erano risultate soccombenti in primo grado presso il Tribunale di Agrigento secondo cui l’attività prestata da una socia cooperatrice presentava invece gli indici tipici della subordinazione. Il Tribunale aveva conseguentemente accertato il diritto della dipendente di transitare alle imprese cessionarie ex art. 2112 c.c., con conseguente responsabilità solidale per le obbligazioni retributive esistenti nei confronti della lavoratrice in occasione della sequenza dei trasferimenti aziendali.

La Corte di Appello di Palermo, accogliendo le tesi delle società convenute, ha invece totalmente riformato la sentenza di primo grado e rivalutato il compendio probatorio, ha ritenuto che la lavoratrice non avesse assolto, a monte, l’onere della prova sulla natura del rapporto sulla stessa gravante, rigettando, a valle, anche la domanda di accertamento dell’intervenuto trasferimento d’azienda.

Secondo la Corte di Appello di Palermo, in particolare, “essendo confermata l’applicazione del principio dell’onere della prova, ricade (…) sul socio cooperatore che agisce in giudizio l’onere di dimostrare che la relazione lavorativa all’interno della compagine societaria abbia tralignato dallo scopo mutualistico proprio di tali compagini – cui non è estraneo anche un obiettivo di profitto come nel caso delle cooperative di consumo – per rivestire le forme tipizzanti della subordinazione”.

A tale riguardo, se si esclude il periodo in cui è stata pacificamente  inquadrata come lavoratrice subordinata, le prove orali finalizzate alla dimostrazione dell’assoggettamento gerarchico e funzionale della lavoratrice non ne hanno efficacemente suffragato la tesi difensiva, “alimentando il ragionevole dubbio, se non la convinzione, che il ruolo in azienda (…) si atteggiasse più plausibilmente come di “padrona dell’attività”  (…) della cooperativa, della quale condivideva gli scopi in un reciproco scambio di servizi e prestazioni convergenti verso un fine comune”.

Pertanto, in assenza della prova del sinallagma contrattuale, che caratterizza la messa a disposizione delle energie del lavoratore subordinato in cambio di un corrispettivo e soprattutto dell’assoggettamento alle altrui direttive riguardo tempi e modi della prestazione, è stata attribuita prevalenza all’appartenenza della lavoratrice alla compagine societaria con l’effetto di inserire in tale cornice giuridica l’apporto operativo offerto alla stessa nella veste di cassiera.

La mancata prova della subordinazione rispetto al rapporto istaurato con la cedente ha così privato la domanda della lavoratrice della base giuridica per invocare la disciplina del trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. con integrale rigetto del ricorso di primo grado; l’appellata è così stata condannata a rifondere le spese di entrambi i gradi del giudizio a tutte le imprese convenute.

Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it. Seguiteci anche sui Social: Facebook e Linkedin.