Quella dei rinnovi dei contratti a termine o delle proroghe dei contratti a termine nella pubblica amministrazioni è una questione assai frequente nella pubblica amministrazione. Il contratto a termine è una tipologia di lavoro atipica, caratterizzata dalla durata a tempo determinato del rapporto, soggetta a una specifica disciplina nel lavoro pubblico e caratterizzata da marcati profili di specialità soprattutto sul piano delle sanzioni che possono colpire il datore di lavoro. L’uso distorto di questa tipologia di lavoro può essere anche fonte di discriminazione sessuale nei confronti delle donne.


Il tema della proroga del contratto a tempo determinato può quindi incrociarsi con il diverso tema della discriminazione e il caso trattato dallo studio DLCI costituisce un significativo esempio di come la discriminazione possa annidarsi dietro ad un uso non corretto dei nuovi contratti di lavoro.


Un’azienda sanitaria aveva infatti negato a un dirigente medico la proroga di un contratto a tempo determinato a un dirigente medico utilmente collocata in graduatoria, che aveva fruito di un periodo di congedo parentale. La lavoratrice, assistita dagli avv.ti prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, si è così rivolta al Tribunale di Trapani lamentando la discriminazione basata sulla maternità, nella specie scattata a fronte della richiesta di prolungamento congedo parentale che cadeva nel periodo oggetto di proroga del contratto a termine. Vi era infatti un collegamento fra l’aver fruito del congedo per maternità e di quello parentale e la mancata proroga del rapporto di lavoro a termine. È stata quindi lamentata una discriminazione per ragione di sesso e chiesto il risarcimento del danno subito.
Nel caso in cui il lavoratore lamenti una discriminazione di sesso, egli ha l’onere di fornire elementi di fatto da cui la stessa si possa presumere: spetterà quindi al datore di lavoro provare l’inesistenza della discriminazione
Il giudice del lavoro ha preso atto che la lavoratrice aveva fornito elementi da cui presumere la discriminazione, posto che tutti gli altri dirigenti medici incaricati avevano ottenuto dall’azienda la proroga dei rispettivi contratti di lavoro a tempo determinato. In quel caso l’ASP aveva disposto senza obiezioni la proroga contrattuale senza formulare obiezioni.
La discriminazione emergeva poi chiaramente da una nota in cui il datore di lavoro aveva stabilito, in via generalizzata che, “per le dipendenti in stato di interdizione (art. 17 comma 3 del D.lgs. n. 151/00), o in congedo per maternità (art. 16 D.lgs. n. 151/00) alla data di scadenza del [contratto a tempo determinato] non si ritiene sussistano i presupposti di cui al comma 2 dell’art. 4 D.lgs. n. 368/01 (… obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine)”.
Secondo il giudice del lavoro il testo della nota esprime in modo nitido la volontà di collegare l’esistenza delle ragioni per prorogare il rapporto lavorativo al fatto che la lavoratrice abbia o non abbia usufruito dei congedi ivi menzionati. Per il giudice “si tratta quindi di una palese discriminazione indiretta in quanto l’ASP, nell’esercitare la propria facoltà di scegliere liberamente se prorogare o meno un rapporto di lavoro a termine, si è affidata a un criterio che non può che penalizzare le dipendenti di sesso femminile. Ai sensi dell’art. 27 D.lgs. n. 198/06, infatti, anche nella fase di “accesso al lavoro” è vietato operare discriminazioni fondate sul sesso”.

Nel giudizio è emerso che una lavoratrice che si trovi nel periodo di astensione ai sensi del D.lgs. n. 151/2001 si vedeva quindi, sempre e comunque, preclusa la possibilità di ottenere un rinnovo del contratto e ciò, per il giudice, costituisce senza dubbio una violazione del principio di pari opportunità.
Il giudice ha in conclusione accertato che dai documenti prodotti la proroga dei contratti fosse subordinata al fatto che la il dirigente avesse o meno usufruito del congedo parentale. La lavoratrice aveva infatti fatto domanda di congedo parentale. La condotta è stata ritenuta indirettamente discriminatoria e l’azienda sanitaria è stata condannata a risarcire il danno subito dalla lavoratrice, ritenuta vittima di una discriminazione sessuale.
Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio DLCI  al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it.