Antonio Ingrassia nel 2011 aveva negoziato 54 BFP clonati, l’azienda lo licenzia 5 anni dopo: troppo tardi. Disposto anche l’indennizzo. Era il gennaio del 2016 quando Antonio Ingrassia, ex dipendente delle Poste e ora consigliere comunale di Misilmeri, riceveva da parte di Poste Italiane una contestazione disciplinare per aver “illegittimamente” negoziato, nel periodo compreso tra l’aprile ed il luglio 2011, 54 Buoni Postali Fruttiferi (BFP) clonati per un ammontare complessivo di 400 mila euro. Il dipendente, diversamente da quanto ritenuto da Poste Italiane, aveva invece sempre osservato, in modo scrupoloso, i regolamenti interni. Il dovere di controllo, per altro, era posto anche in carico ad altri suoi superiori.
In ogni caso Poste Italiane aveva provveduto ad intimare il licenziamento del sig. Ingrassia tardivamente. Il fatto, già noto nel 2011 veniva infatti contestato al dipendente con un ritardo di quasi cinque anni. Per queste ragioni, i difensori del dipendente– Lorenzo Maria Dentici, Luigi Maini Lo Casto e Giuseppe Massimo Punzi – chiedevano al giudice, una volta accertata l’illegittimità del provvedimento disciplinare nei confronti del sig. Ingrassia, di annullare il licenziamento e condannare Poste italiane alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento della prevista indennità risarcitoria.
Con sentenza del 30.03.2017 il Giudice del lavoro di Termini Imerese, Chiara Gagliano, che ha comunque dato atto del ruolo di controllo che avrebbe dovuto avere nella vicenda il direttore della filiale, ha annullato il licenziamento per la tardività della contestazione. Poste Italiane è stata così condannata alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di 12 mensilità di retribuzione, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Con questa pronuncia il Tribunale di Termini Imerese conferma il recente orientamento della Cassazione per cui in tema di licenziamento disciplinare, un fatto non tempestivamente contestato dal datore non può che essere considerato insussistente.