L’avv. prof. Lorenzo Maria Dentici e l’avv. Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, insieme all’associate avv. Giorgio Petta, hanno assistito con successo innanzi al Tribunale di Palermo un medico di una clinica privata, ottenendo il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro.
La vicenda scaturisce dall’interruzione del rapporto di lavoro per volontà della casa di cura attraverso una semplice comunicazione, che non conteneva alcun riferimento alle motivazioni.
Sulla scorta di tale evento, e alla luce di un più preciso scrutinio del contratto da cui prendeva origine il rapporto di collaborazione, è stato possibile individuare i chiari indici di subordinazione che caratterizzavano il rapporto lavorativo. In particolare, il ricorrente veniva regolarmente inserito nella turnazione della clinica e gli veniva imposto un obbligo di comunicazione nel caso in cui lo stesso risultasse indisponibile. Era prevista inoltre una multa pari a € 500,00 da applicare in caso di inadempienze da parte del lavoratore, indice, più che evidente, di potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
Si è inoltre riscontrato che le concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del medico erano identiche a quelle degli altri specialisti legati alla casa di cura da un contratto di lavoro subordinato. Sul punto si è infatti precisato in ricorso, che la natura subordinata del rapporto in questione era proprio dimostrata dal solo tenore letterale del contratto da cui emergevano i poteri organizzativo, direttivo e financo disciplinare del datore di lavoro.
Pertanto, al fine della corretta qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra il medico e la casa di cura, era necessario prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al tempo della sottoscrizione del contratto di lavoro, posto che la natura subordinata – oltre che dal corpo del contratto- discendeva altresì dalle sue concrete modalità di svolgimento.
Il lavoratore si è pertanto rivolto, con ricorso ex art. 414 c.p.c., al Tribunale di Palermo, il quale – sposandone pienamente la linea difensiva – ha accolto il ricorso, con decisione del 17 gennaio 2024, sulla scorta di una rigorosa individuazione degli indici di subordinazione e ha condannato la casa di cura a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni che gli sarebbero spettate dalla data di efficacia del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali. Il datore di lavoro é stato poi condannato alla rifusione delle spese di lite.

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