Lo studio legale DLCI, con gli avv.ti prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, ha assistito un dipendente in un caso di impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato da Poste Italiane S.p.A.
I licenziamenti per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo sono quelli più frequenti nei settori dei servizi postali e bancario in cui è forte il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro. In generale, infatti, la delicatezza della funzione svolta dal direttore dell’ufficio e il necessario vincolo fiduciario con l’azienda datrice di lavoro, giustificano la sanzione espulsiva anche alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Il dipendente licenziato, nel caso trattato dallo studio DLCI, si era reso responsabile di gravi irregolarità nello svolgimento di operazioni presso un ufficio postale. Egli, nell’effettuare delle operazioni di disinvestimento e nuovo investimento, non aveva infatti raccolto personalmente la sottoscrizione del correntista, poi risultato deceduto. Era, quindi, emerso, a seguito dei controlli ispettivi, che la firma sui moduli autorizzativi era stata apposta da un familiare del defunto, cui gli stessi erano stati consegnati in virtù del rapporto di fiducia con il cliente, ciò però in violazione dei regolamenti aziendali. Ritenendo il licenziamento illegittimo, il dipendente si è rivolto al Tribunale in funzione di giudice del lavoro.
La difesa del lavoratore non ha mai negato la sussistenza dell’illecito, ma ha ritenuto sproporzionato il licenziamento visto che il CCNL puniva una simile condotta con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione qualora improduttiva di danno per la società o per terzi. Il danno nella specie era insussistente in quanto le somme erano state reinvestite presso il medesimo ufficio postale e non vi era evasione dell’imposta di successione. Quanto il fatto è punito dal CCNL con una sanzione conservativa l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevede la reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente nel posto di lavoro. Il comma 4 dell’art. 18 stabilisce infatti che “il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”.
La Corte di Appello di Palermo aveva, in un primo momento, ritenuto legittimo il licenziamento, ma la decisione è stata ribaltata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 20 novembre 2019 che ha accolto integralmente la tesi dei legali del lavoratore.
La Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado sfavorevole al lavoratore licenziato, in quanto i giudici di appello avevano esaminato elementi non oggetto degli addebiti disciplinari in violazione del principio di immutabilità della contestazione. In particolare secondo la Corte di Cassazione i giudici di appello avevano deciso oltrepassando il perimento delimitato dalle difese delle parti, mediante l’esame di fatti nuovi, ossia il “forte pregiudizio per la Società o terzi“, ravvisato nell’avere il dipendente pregiudicato l’immagine e la reputazione di Poste italiane. Questo pregiudizio però non era stato addotto dal datore di lavoro a sostegno del licenziamento individuale. Di fatto, pertanto, la Corte di Appello si era mossa all’esterno della contestazione disciplinare; il principio di immutabilità di quest’ultima costituisce però un vincolo, non solo per il datore di lavoro, ma anche per il giudice.
La decisione che aveva visto soccombere il lavoratore licenziato è stata quindi cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione per un nuovo esame nel merito.
Questa volta, la Corte ha affermato l’esistenza di un licenziamento illegittimo e il lavoratore è stato reintegrato nel posto di lavoro, con condanna di Poste Italiane al pagamento del risarcimento del danno.
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