L’avv. prof. Lorenzo Maria Dentici e l’avv. Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, insieme all’associate, avv. Giorgio Petta, hanno sostenuto l’illegittimità della mancata corresponsione in favore degli operai a tempo determinato di qualsiasi retribuzione o indennità di anzianità, in dispregio di quanto stabilito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, essendo questo un trattamento deteriore rispetto a quello dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili.
Il Tribunale di Palermo, accogliendo tali prospettazioni, con due sentenze rese il 20 aprile 2022, ha così condannato l’Assessorato Regionale del territorio e dell’ambiente al pagamento delle differenze retributive e dei contributi previdenziali in favore dell’INPS.
Secondo il giudice del lavoro la condotta della p.a. è illegittima.
Infatti, la disciplina nazionale del contratto a termine va letta alla luce della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, relativa all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato siglato da CES, UNICE e CEEP.
Secondo il giudice, un particolare peso specifico è stato riconosciuto al principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro, che così dispone: “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
Inoltre, il comma 4 della clausola in esame stabilisce che “i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Sul versante nazionale, già l’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001 – “principio di non discriminazione” – aveva stabilito che “al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva (…) sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine”.
Il Tribunale ha osservato che la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, è stata più volte interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha messo in luce che: a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato; b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42); c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4 (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C- 177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi) (cfr. per tale ricostruzione Cass. civ., sez. lav., ord. 22 maggio 2020, n. 9491).
Orbene, i ricorrenti non hanno mai ricevuto alcun tipo di compenso fondato sull’anzianità di servizio, atteso che il riconoscimento dell’anzianità di servizio, nel settore dei lavoratori forestali – impiegati e operai – spetta solamente a coloro che vengono assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
L’accordo quadro sul lavoro a termine ammette la possibilità che i lavoratori a tempo determinato vengano trattati in maniera meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili solamente nell’ipotesi in cui sussistano “ragioni oggettive” che giustifichino la disparità di trattamento.
Nella specie, tuttavia, il giudice ha ritenuto che non possano costituire “ragioni oggettive” le modalità di assunzione e una non precisa corrispondenza tra il profilo di appartenenza e uno dei profili stabiliti per i dipendenti a tempo indeterminato.
La legislazione regionale recante la disciplina della materia non prevede infatti alcuna peculiarità nel rapporto dei lavoratori a tempo determinato (se non la mera temporaneità del rapporto) né, tantomeno, impone a questi ultimi di rendere la prestazione lavorativa con modalità differenti da quelle dei lavoratori a tempo indeterminato.
Inoltre, le declaratorie contenute nel CCNL non operano alcuna distinzione in base alla natura temporanea del rapporto.
Neppure la contrattazione regionale ha poi previsto la benché minima differenziazione tra personale a tempo determinato e non, limitandosi a introdurre il riconoscimento dell’indennità legata all’anzianità di inserimento per i soli operai a tempo indeterminato.
Secondo il Tribunale “è provato che la prestazione richiesta ed esigibile dal personale forestale precario (…) è assolutamente identica a quella prestata dai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato, con l’unica differenza che i primi non svolgono la prestazione come i secondi per tutti i giorni dell’anno, circostanza che, tuttavia, per giurisprudenza costante europea ed interna non costituisce di per sé ragione oggettiva che legittimerebbe da differenziazione”.
L’amministrazione è stata così condannata al pagamento in favore di ciascuno dei lavoratori delle somme rivendicate, oltre che al versamento in favore dell’INPS della relativa contribuzione e al pagamento delle spese di lite. Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it. Seguiteci anche sui Social: Facebook e Linkedin.