Reintegrata una dipendente licenziata a seguito del decreto di scioglimento del consiglio comunale per fatti di mafia

Reintegrata una dipendente licenziata a seguito del decreto di scioglimento del consiglio comunale per fatti di mafia

Gli avv.ti prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, insieme all’associate Giorgio Petta hanno assistito una dipendente di un ente locale cui era stata comminata la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa per presunti comportamenti di favore nei confronti del fratello condannato per fatti di mafia, consistiti nella rivelazione di informazioni sull’attività dell’ente in materia di affidamenti, citati sia nel decreto di scioglimento del consiglio comunale, sia in un’informativa prefettizia.

I legali hanno contestato la legittimità del provvedimento impugnato per tardività della sanzione in ragione della decadenza dall’azione disciplinare, deducendo inoltre l’insussistenza dei fatti contestati. La dipendente è stata infatti destinataria di un procedimento disciplinare fondato unicamente sul fatto che la stessa fosse parente di alcuni soggetti malavitosi con cui non aveva, peraltro, alcun tipo di rapporto.

Il Tribunale di Termini Imerese, applicando il criterio della ragione più liquida, ha accertato l’illegittimità del licenziamento per decadenza dall’azione disciplinare. Ai fini del rispetto dei termini perentori di cui all’art. 55 bis del d.lgs. 165/2001, il giudice del lavoro ha precisato che “assume (…) carattere assorbente ai fini della decisione accertare il momento nel quale l’amministrazione (…) abbia avuto una conoscenza sufficientemente completa dei fatti disciplinarmente rilevanti dei quali la [lavoratrice] si sarebbe resa responsabile”. Ha ritenuto, sulla scorta di un esame di merito, che “in ragione della documentazione in atti, che già a far data dal 11.01.2022 l’Amministrazione comunale convenuta disponesse di elementi utili e sufficienti per poter segnalare l’illecito all’Ufficio procedimenti disciplinari”. Infatti “l’inequivocabile valore lessicale delle espressioni certifica un’adeguata conoscenza da parte dell’amministrazione comunale circa l’imputabilità soggettiva dell’illecito e l’oggettiva verificabilità dei fatti. A fugare ogni dubbio circa la completezza delle informazioni in possesso del Comune convenuto sopravviene la stessa contestazione disciplinare del 10.02.2022 ove il Responsabile dell’UPD fa espresso richiamo sia al Decreto del Presidente della Repubblica del 19.11.2021 (con cui veniva disposto lo scioglimento del consiglio comunale e la nomina di una commissione straordinaria a causa dell’emersione, all’esito degli accertamenti prefettizi, di forme di ingerenza di criminalità organizzata), sia alla relazione del Prefetto di Palermo”.

Sulla scorta di quanto sopra, il Tribunale ha osservato: “tanto premesso, si può affermare con verosimile certezza che, già alla data del 11.01.2022 il responsabile del servizio fosse a conoscenza di elementi sufficienti per poter segnalare l’illecito all’Ufficio procedimenti disciplinari e abbia atteso fino al 15.02.2022 così violando il termine di dieci giorni fissato dall’art. 55 bis, comma 4°, d.lgs. 165/2001. Omissione comportamentale che ha inevitabilmente determinato una lesione degli ulteriori termini, testualmente dettati dalla normativa di settore a pena di decadenza dell’azione disciplinare, di trenta giorni per l’inoltro della contestazione alla dipendente incolpata (evento tardivamente perfezionatosi nella fattispecie il 15.02.2022, oltre 36 giorni dopo la conoscenza dell’illecito) e per la conclusione del procedimento disciplinare (definito il 19.05.2022, oltre 129 giorni dal dies a quo)”.

Inoltre “a non opposta determinazione possono condurre le generiche allegazioni difensive prospettate dalla convenuta amministrazione a giustificazione del riscontrato ritardo, in quanto prive di adeguato conforto probatorio, non deducendo, né documentando, il comune convenuto, l’attività istruttoria svolta, la complessità degli accertamenti compiuti e la problematicità dei documenti esaminati”.

La lavoratrice è stata quindi reintegrata nel posto di lavoro con condanna dell’ente locale al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione (in misura comunque non superiore a 24 mensilità), oltre ai connessi contributi previdenziali e assistenziali.

L’amministrazione è infine stata condannata alle spese di lite.

Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it.