Ad alcuni dipendenti di Intesa Sanpaolo Vita S.p.A. nel mese di maggio del 2012 erano stati revocati i superminimi – ossia dei miglioramenti rispetto alla retribuzione prevista dai contratti collettivi – concessi dalla società nel corso del rapporto di lavoro.
Tali superminimi erano stati qualificati come “assorbibili”; ma a fronte del tenore letterale delle pattuizioni individuali, si era verificato il mancato assorbimento degli stessi in occasione degli aumenti contrattuali del CCNL di categoria del 2003 e del 2007.
I lavoratori affermavano, pertanto, che in ragione delle superiori circostanze di fatto, si era modificata, per fatti concludenti, l’originaria volontà delle parti, che era finalizzata a modificare la natura del superminimo, reso dunque non assorbibile.
Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello di Milano avevano rigettato i ricorsi dei lavoratori, condannandoli alle spese di lite in entrambi i gradi. In particolare, quest’ultima ha ritenuto che “la previsione di assorbimento per le attribuzioni individuali (…) conferma la corretta applicazione da parte dell’appellata delle previsioni contrattuali individuali in tema di superminimi”, rilevando che “nel caso in esame la “soluzione alla questione sottoposta a questa Corte in merito alla assorbibilità delle attribuzioni riconosciute agli appellanti in eccedenza rispetto alle retribuzioni tabellari, è contenuta nelle stesse pattuizioni contrattuali individuali che assegnano a dette attribuzioni retributive natura riassorbibile”.
I lavoratori, assistiti dall’avv. prof. Lorenzo Maria Dentici, partner dello studio legale DLCI, hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello agli stessi sfavorevole.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1941 del 17 luglio 2023, accogliendo le domande dei dipendenti, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di appello di Milano in diversa composizione. I giudici di legittimità hanno così argomentato: “l’affermazione della Corte di merito, secondo la quale l’uso aziendale di non riassorbimento degli assegni tenuto fino all’anno 2012 non configurava un comportamento concludente nel senso della rinunzia da parte della società datrice di lavoro alla facoltà contrattualmente prevista di assorbimento, per difetto di una chiara manifestazione negoziale in tal senso, non è coerente con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass. n. 31204/2021, Cass. n. 3296/2016, Cass. n. 5882/2010); ne consegue che ove la modifica “in melius” del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell’uso aziendale, ad essa non si applica né l’art. 1340 cod. civ. – che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l’uso o di escluderlo – né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti – con esclusione, quindi, di un’indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati – né, comunque, l’art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica “in peius” del trattamento in tal modo attribuito (Cass. 8342/2010, cit.)”.
Della vicenda si occuperà ora la Corte di appello di Milano a seguito del ricorso in riassunzione, tenendo fermo il principio affermato dai giudici di legittimità, secondo cui la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra un uso aziendale.
Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it. Seguiteci anche sui Social: Facebook e Linkedin.