Il reato di cui all’art. 603 bis c.p.: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Il reato di cui all’art. 603 bis c.p.: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

L’avv. prof. Lorenzo Maria Denticipartner dello studio legale DLCI, ha assistito – insieme ad un collega penalista – il legale rappresentante di un ente durante la fase delle indagini preliminari in cui si ipotizzava a carico dell’indagato il reato di cui all’art. 603 bis c.p., ottenendo, sulla base di un’analitica memoria difensiva al PM, la richiesta di archiviazione di quest’ultimo e il successivo decreto di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Palermo.

L’elevato tecnicismo che ha caratterizzato le riforme del codice penale più recenti rende oggi indispensabile la collaborazione di avvocati con professionalità diverse, ma complementari: è questo il caso della nuova fattispecie dell’art. 603 bis c.p. “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.

Con la legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante “disposizioni di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, il legislatore ha apportato significative modifiche alla disciplina previgente e operato un restyling della norma. Nel suo nucleo punitivo essenziale la stessa sanziona con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

  1. recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
  2. utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

L’identificazione delle vittime del reato è, quindi, operata con riferimento alla “manodopera”; sotto il profilo oggettivo, la disposizione richiede che i lavoratori siano sottoposti a condizioni di sfruttamento.

Si tratta di due aspetti della fattispecie incriminatrice che già implicano il necessario ed esclusivo riferimento ad attività produttive e a mansioni lavorative prevalentemente manuali e poco qualificate.

Il termine manodopera, nel linguaggio comune, indica, infatti, la forza lavorativa, prevalentemente manuale, adibita a un’attività produttiva in modo più o meno continuativo da parte di un datore di lavoro. La riconducibilità della fattispecie alle organizzazioni produttive in cui rileva la componente del lavoro manuale è confermata da alcuni degli indici della condizione di sfruttamento elencati nel terzo comma, che al nr. 3 considera la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro (il cui rilievo è maggiore nel lavoro operaio), al nr. 4 la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Tale indicazione può trarsi dal regime delle aggravanti disciplinato dal comma 4; non è logicamente sostenibile, ad es., che prestatori di lavoro intellettuale all’interno di organizzazioni non profit possano essere reclutati tra minori in età non lavorativa o esposti a situazione di grave pericolo. Del resto il fenomeno nasce in un preciso contesto storico, quello del caporalato, che rimanda alle condizioni degradanti del lavoro agricolo, ove opera forza lavoro extracomunitaria in condizioni di bisogno e di soggezione psicologica.

La reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme alle previsioni dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale o, comunque, sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, costituisce, infatti, nella previsione del nr. 1 del comma 3 dell’art. 603 bis c.p. (non la prova ma) solo un indice dello sfruttamento della manodopera.

La condizione di sfruttamento deve invero essere apprezzata in relazione a tutte le circostanze del caso concreto in rapporto alle generali condizioni di vita dell’interessato e allo stato di effettiva soggezione del lavoratore al datore di lavoro che si estrinsechi, ad esempio, nei metodi di sorveglianza o in situazioni alloggiative degradanti.

Tutte le sentenze di legittimità reperibili sull’interpretazione dell’art. 603 bis c.p., fanno regolarmente riferimento ad attività produttive, soprattutto nel comparto edilizio o nel settore agricolo, e a lavoratori, spesso di provenienza extracomunitaria, in disperate condizioni personali (vedi, per alcuni esempi, le sentenze della IV Cass. Pen. n. 97/2020, 1482/2019, 1710/2019, 37936/2019, 1440/2019). Ed è interessante rilevare l’insorgenza di problemi applicativi della norma incriminatrice in un caso in cui essa è stata contestata in relazione a fatti svoltisi al di fuori di contesti tali produttivi.

Si tratta della sentenza della IV sezione penale nr. 44781/2019, relativa all’assunzione come badante di una cittadina straniera attraverso l’intermediazione di un’organizzazione criminale. Nell’annullare con rinvio la sentenza oggetto del ricorso limitatamente alla contestazione ex art. 603 bis c.p., la Cassazione considera tra l’altro che la norma enuncia tra gli indici di sfruttamento non già la mera condizione di irregolarità dei lavoratori stranieri o l’approfittamento da parte dell’intermediario, quanto una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore desunta o dai profili contrattuali retributivi (reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi), o dai profili normativi del rapporto di lavoro (orario di lavoro, ferie, aspettativa e congedo), o dalla violazione delle norme in tema di sicurezza e igiene sul lavoro, o dalla sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio. In realtà, nel caso di specie si poneva piuttosto, a monte, il problema della specifica collocazione lavorativa della vittima all’interno di un ambiente domestico e con mansioni di tipo “familiare”, in una situazione in cui non apparirebbe affatto congruo, con riferimento all’assunzione del prestatore di lavoro, il riferimento al termine “manodopera” utilizzato nella norma incriminatrice e potrebbero operare, nei congrui casi, altre fattispecie di reato, a partire da quella prevista dall’art. 572 c.p. per l’ipotesi di sistematiche vessazioni di uno dei membri di una comunità familiare ai danni di un altro. Peraltro, nel definire i termini della condizione di sfruttamento, la sentenza illumina l’assoluta eterogeneità delle caratteristiche del caso di specie rispetto ai parametri normativi per l’incriminazione ex art. 603 bis c.p.

In conclusione, per l’integrazione della specifica fattispecie penale, deve pur sempre trattarsi di allarmante situazione in relazione agli abnormi carichi di lavoro, alle condizioni igieniche dei locali ove è esercitata l’attività lavorativa, alle contribuzioni non pagate, agli straordinari sproporzionati rispetto agli orari svolti, alle modalità cruente con cui si è costretti a subire condizioni di lavoro assai poco dignitose. Occorre pur sempre una condizione di effettivo e concreto sfruttamento dell’altrui attività lavorativa lesiva della dignità umana e la costante prevaricazione delle rispettive attribuzioni.

Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it.

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